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EDMOND JOYEUSAZ: LO SCI ESTREMO COME PASSIONE

Di Laura Corigliano

La montagna rappresenta per molte persone un paesaggio da ammirare o un luogo in cui rilassarsi godendo dell’aria pulita, dei colori intensi e degli spazi immensi, che consentono di ritrovarsi o a volte “perdersi” nel silenzio, lontano dai rumori e dalla folla delle città e di alcune spiagge. Per qualcuno invece la montagna è passione e vita: Edmond Joyeusaz, grande campione di sci estremo ed ex azzurro di sci, che ha vinto la

Coppa Italia nel 1984 e per anni è stato tra i migliori sciatori italiani, nonché campione del mondo di sci delle guide alpine nel 1999, appartiene a questa categoria di persone. Edmond infatti, che abita a Courmayeur (ai piedi del Monte Bianco), con le vette ha un legame strettissimo e con loro vive un rapporto di passione e sfida perché, come lui stesso afferma: “la montagna è come una bella donna, la devi rispettare, la puoi corteggiare ma, sarà sempre lei a decidere se concedersi.

Qual è stato il suo percorso? Provengo dallo sci agonistico, che fino all’età di 26 anni (ultimo anno di squadra nazionale) è stata la mia principale attività. Parallelamente sono infatti diventato maestro e allenatore federale di sci alpino e da oltre 40 anni sono guida alpina presso la “Società Guide Alpine di Courmayeur” che, fondata nel 1850, è la seconda a livello mondiale per tradizione, prestigio e anzianità. Da sempre sono stato attratto dallo sci ripido che, lo confesso, ho anche praticato di nascosto quando ancora ero un atleta professionista e, nel 2007, dopo aver abbandonato l’attività di allenatore federale ho scelto di dedicarmi anima e corpo alle discese estreme, che ancora pratico con continua e infinita emozione.

Quali sono state le più significative? Nel 2015 ho effettuato la prima discesa della parete sud del Grand Combin (4.314 metri), l’unica che è stata ripetuta, nel 2016 la prima discesa della parete nord del Dent Blanche (4.357 m.), nel 2017 la prima discesa della parete sud del Weisshorn (4.505 m.) e nel 2018, per i miei 60 anni, mi sono regalato la prima discesa integrale dalla cima del Cervino (4.478m.). Quest’ultima esperienza ha rappresentato per me una grande soddisfazione poiché, nel 1975, l’alpinista Toni Valeruz aveva sciato per primo il Cervino, scendendo dalla parete est, ma non dalla cima, mentre io sono riuscito a completare tutta la discesa.

 Fra tutte qual è stata la discesa più impegnativa? Sicuramente quella del Monte Bianco versante Brenva (lato italiano), attraverso il seracco della Poire: una sfida vinta all’età di 62 anni (n.d.r. è nato il 14 aprile 1958). Mentre molti miei coetanei cercano infatti la tranquillità, io continuo ad aver bisogno di superare me stesso e i limiti che, molto spesso, come dimostro con le mie imprese, sono solo mentali. La sua filosofia? Realizzo queste discese esclusivamente per piacere personale; lasciare una traccia con i miei sci su una parete vergine mi gratifica enormemente. Di solitone porto a termine una all’anno e questa mi permette di “vivere” sereno e appagato fino alla primavera successiva.

Qual è il periodo migliore per sfidare la montagna? Tendenzialmente la primavera, infatti realizzo tutte le mie discese nel mese di maggio, dato che in pieno inverno a quelle quote (oltre i 4000 m.), su pendenze sopra i 45° la neve è troppo fredda, non attecchisce sui pendii ripidi e ghiacciati e scivola a valle. La neve primaverile invece è più umida e, grazie anche a un irraggiamento solare più efficace e diretto, riesce ad “appiccicarsi” anche su rocce e pareti dalle pendenze notevoli. In ogni caso non sono io a decidere quando è il momento di affrontare una discesa estrema ma, è la montagna che mi suggerisce il periodo opportuno… come se mi richiamasse a lei per un appuntamento che si ripete, anno dopo anno.

Come studia il momento giusto? Partendo dal presupposto che affrontare una discesa senza che ci siano le condizioni ideali sarebbe davvero un suicidio e purtroppo molti alpinisti e sciatori hanno pagato con la vita un errore di valutazione, spesso devo attendere a lungo, scrutando la montagna da lontano, osservandola giornalmente con il binocolo, effettuando perlustrazioni in volo (so anche pilotare) ed effettuando verifiche ai piedi delle pareti. Solo allora, quando tutto è perfetto (di solito si tratta di una finestra di 15 giorni, da metà maggio in poi) la montagna mi convoca e io la raggiungo.

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