Uno sguardo all’elezione di Trump con il minimo numero di bias possibile
Sgombriamo subito il campo. A queste elezioni ho votato per la Harris, e l’ho fatto non perché la vice-presidente mi avesse mai entusiasmato, ma perché aveva un’altra caratteristica importante: non era Trump. Per me, il problema numero uno del nostro tempo è il cambiamento climatico. La questione è molto semplice: abbiamo un solo pianeta a disposizione; se ci fottiamo quello, siamo fottuti anche noi. Peggio. A rimanerci fregati saranno i nostri figli e i nostri nipoti. E se il piano dei Democratici per far fronte al problema è troppo poco, con Trump torniamo al negazionismo duro e puro, e alla marcia indietro sugli accordi di Parigi. Un suicidio collettivo, insomma.
Già questo basterebbe e avanzerebbe per non votare Trump, ma anche spostandoci sul piano evenemenziale, le cose non stanno meglio. Trump andava squalificato già quattro anni fa per i fatti del J6, ma non è bastato un tentato colpo di stato a convincere i Repubblicani che era necessario liberarsi di lui. Evidentemente, gli infingardi del GOP pensavano che i Democratici gli avrebbero tolto le castagne dal fuoco senza doversi prendere LORO la responsabilità di fare pulizia in casa propria. Ma siccome i Democratici sono degli inetti… su questo ci torno dopo.
Comunque, ora il danno è fatto e provo a guardare i silver lining della vittoria arancione, ovvero, detta in italiano, rilevare che forse non tutto il male vien per nuocere. Leggendo i commentatori da entrambi i lati dell’oceano, le narrazioni su cosa è successo si sprecano. Vere o non vere, al solito tutte queste storie lasciano un pò il tempo che trovano. Un aspetto importante—e a mio parere sottostimato da tutti a questo giro—è che la propaganda ha fatto passi da gigante. Già nel 2016, Cambridge Analytica aveva dimostrato quanto è potente la convergenza tra i social media, il machine learning e la targhetizzazione permessa dall’adtech. Nulla lascia pensare che quel sistema non abbia fatto progressi enormi negli ultimi anni e che, di conseguenza, sia stato utilizzato nelle elezioni del 5 novembre scorso.
In estrema sintesi: sai che Karen in Pennsylvania ha il suo lato neurotico un pò pronunciato? Rifilagli un bel video con un ladro messicano che sfonda un vetro ed entra in casa nel bel mezzo del suo feed di Facebook, piuttosto che Instagram, piuttosto che TikTok, e poi ci penserà da sola a sviluppare le ragioni per cui è meglio votare Trump. Oramai l’impatto dei social media non può più essere ignorato e supera di molto la portata dei media mainstream. Qualcuno suggerisce di “regolare” i social nonostante i vincoli del primo emendamento? Good luck with that.
Ma i Democratici avevano molti più soldi di Trump a disposizione per la campagna elettorale, direte voi. Vero, ma se i missili li lanci in mare… Un qualsiasi psicologo avrebbe potuto spiegare ai grandi strateghi Dem che la paura fa novanta, che l’economia conta e che i transgender stanno instintivamente sulle balle anche a quelli che si dichiarano progressisti. Parlare con la gente li avrebbe convinti che l’inflazione, vera o percepita che sia, è un problema serio per molti, e che lo stesso vale per l’entrata indiscriminata di immigrati irregolari.
E invece no. Su immigrazione ed economia, la Harris forniva sempre risposte vaghe ed evasive, mentre Trump, Musk e un’armata di pundit e profili social premevano sui quei bottoni un giorno sì e l’altro pure, molte volte al giorno. Se poi guardiamo il palco su cui si esibiva la Harris durante la campagna, di bianchi ce n’erano ben pochi. Evidentemente, i grandi strateghi Dem avevano ritenuto che, con la candidatura di Tim Walz, le caselle “bianchi” e “maschi” fossero smarcate, e che spingere sul pedale del DEI fino all’ossesso fosse la scelta vincente per loro. Ma la mente umana non funziona così e molti caucasici (e forse anche asiatici e latinos) sono arrivati alla conclusione che magari quello non era esattamente il partito che li rappresentava. Quello che dico può essere derubricato ad anecdotal evidence, ma vi giuro che fior di amici miei genericamente progressisti hanno notato questa cosa. E poi, se vivete in USA, avrete incontrato anche voi esempi di distorsioni, inclusa una specie di razzismo al contrario contro i bianchi che razionalmente magari proviamo a ignorare, ma su cui la propaganda trumpiana monta la sue campagne social. Vari miei amici accademici—e quindi progressisti—mi hanno confessato di vivere nel terrore da molto tempo: basta usare un pronome sbagliato o esprimere un parere non perfettamente allineato con la vulgata woke, e si viene ostracizzati, se non peggio.
A braccetto con il DEI, c’è stato il sostegno incondizionato della Harris e dei Democratici tutti alla causa LGBTQ e transgender. È ovvio che lo Stato deve difendere tutti i cittadini da violenze ed intimidazioni, ma anche qui i Democratici hanno esagerato. Quello che in una società è giusto tollerare, ha finito quasi per essere presentato come un modello da seguire. Per il team Trump/Vance è stato facile offrire una visione caricaturale dei Dem per cui è più figo andare al gay pride che mettere su famiglia. La difesa dei maschi trans negli sport femminili ha finito per essere un gol a porta vuota per arancio-malpelo. Idem con patate sul sostegno al cambiamento di sesso per i pargoli in tenera età! I Democratici si sono trovati contro pure una femminista come J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, forte di un ragguardevole quattordici milioni di follower su Twitter. Ancora pochi giorni prima della fatidica data, la Harris ci faceva sapere quanto avesse fatto lei per le comunità LGBTQRSPWAV+ a San Francisco. Ma cazzo, Kamala, ma l’avevi capito che i voti li dovevi prendere in PA, MI, SC, NC, GA, AZ, NV e WI? Hai preso otto milioni di voti meno di RimbamBiden nel 2020, porcozzìo.
A me, quella dei Dem sembrava una campagna elettorale sbagliata, ma assumevo che le menti fini dell’asinello avessero i big data dalla loro parte e sapessero esattamente cosa stavano facendo. Com’è possibile che non fosse così?
Un’ipotesi ce l’ho, che in realtà è un pò più di un’ipotesi, essendoci passato varie volte in prima persona. Lo zoccolo duro democratico ama crearsi una bolla cognitiva e poi trasferircisi dentro con famiglia, amici e animali domestici al seguito. Sono abbonato anche al Washington Post e mi è capitato in passato di commentare articoli online. Qualsiasi divergenza dall’ortodossia liberal—ma lasciatemi dire ‘woke’—è punita duramente dagli altri avventori prima, e dalla rimozione del post da parte dei solerti admin di WaPo poi. Non sorprende più di tanto che i Democratici abbiano finito per perdere il contatto con la realtà: alloggiano da anni comodamente in una cassa di risonanza che passa solo musica per le loro orecchie. Qual’è la differenza con lo stesso identico peccato che imputano ai trumpiani, quello di starsene sintonizzati su FoxNews anche quando sono seduti sul cesso?
Lo zoccolo duro Dem ha finito per sentirsi moralmente superiore, portatore di una verità totale e indiscutibile che non ammette deviazioni. Eclatante, da questo punto di vista, la defenestrazione di Andrew Cuomo tre anni fa. Costui avrebbe fatto a pezzi Trump in un qualsiasi dibattito, e invece è stato defenestrato dai Democratici per aver toccato il culo di sfuggita a una segretaria o un’altra cazzata di questo tipo. Uno con tutto quel testosterone in un partito inclusivo come il nostro? Ma scherziamo?! Non c’è niente da fare. I puri son così. Volete tutto? E allora niente e andatevene a fanculo.
Tirando le somme, l’elezione di Trump è male, molto male, ma c’è un aspetto positivo. Con buona probabilità, lo schiaffone farà risvegliare i Democratici dalla trance cognitiva (ma anche un pò deriva subdolamente autoritaria) in cui erano caduti, e torneranno a fare il partito degli americani, e non il partito delle frange estreme.
Adesso l’America dovrà bere l’amaro calice fino alla feccia. Possibile, a mio parere probabile, che Trump diventi una liability troppo grande anche per i Repubblicani stessi, e che distacchino un drappello di deputati o senatori per votarne la rimozione insieme ai Democratici il giorno che l’egomane la farà troppo grossa. Nel frattempo, Trump farà quello che sa fare meglio: i suoi interessi e quelli dei suoi fedelissimi amici, tagliando le tasse primariamente agli ultraricchi, alla facciazza del debito pubblico di cui in realtà entrambi i partiti se ne fregano. A quel punto anche chi l’ha votato per motivi frivoli, o per motivi frivoli non ha votato proprio, aprirà gli occhi sul fatto che, in tutto questo circo, l’economia ha giocato un ruolo preponderante, e che la difesa degli animali domestici dalle mire culinarie degli immigrati era solo un diversivo. Alla fine della fiera, Karl Marx era uno stronzo, ma non era un cretino.