Claudio Calzana era poco più che un ragazzo, aveva 22 anni e la vita davanti a sé, quando decise di partire da Bergamo per un viaggio che non avrebbe mai dimenticato. La sua destinazione era Teora, un piccolo borgo irpino, devastato dal terremoto che, il 23 novembre 1980, aveva scosso la terra per novanta interminabili secondi.
Claudio si unì alle migliaia di volontari arrivati da ogni parte d’Italia, rispondendo a un appello che chiamava alla solidarietà, ma che pochi, forse, erano davvero pronti ad ascoltare. Nella sua borsa aveva infilato Minima Moralia di Adorno, un libro che sperava di leggere durante quelle lunghe giornate. Ma la realtà che trovò in quei luoghi non lasciava spazio a letture filosofiche: davanti a lui c’era solo devastazione, il dolore di un popolo e il gelo dell’inverno che penetrava fino alle ossa.
Il libro che aveva portato con sé è un testo denso, un’introspezione sulle fragilità e le contraddizioni dell’esistenza, che parla della sofferenza e della disillusione nel mondo moderno. Forse, in quell’istante, il volontario non sa ancora che non ci sarà tempo per leggere, che i giorni si riempiranno di volti e storie, di mani sporche di polvere e lacrime.
Claudio era sceso a Teora con l’ingenuità di un giovane convinto che quel tipo di esperienza non l’avrebbe mai davvero messo alla prova. Si immaginava di trovare il tempo per studiare e, una volta tornato a casa, di poter continuare la sua vita di sempre. Arriva in Irpinia con un cappotto leggero e un paio di mocassini, ignaro di quanto freddo avrebbe patito.
Mai avrebbe pensato di trovarsi di fronte a una situazione così devastante, dove ogni gesto, ogni parola sembravano nulla rispetto alla tragedia che lo circondava. le case distrutte, la neve che entrava dalle crepe dei tetti, il dolore nei volti di chi aveva perso tutto, e che pure continuava a resistere e lottare. Non c’era spazio per altro.
Quando tornò a casa, non era più il ragazzo di prima. Quel freddo, quel dolore, quella realtà lo avevano cambiato per sempre. In soli due mesi quel giovane si era fatto uomo.
Ma, a ripensarci, Minima Moralia era un presagio: esplora il crollo delle illusioni e la fragilità delle vite ordinarie, concetti che avrebbero assunto un significato tangibile e crudele tra le rovine di una tragedia. Così, la filosofia astratta di Adorno diventa un riflesso del dramma reale, un dialogo silenzioso tra il pensiero e la carne viva di un mondo ferito.
Un dolore scolpito nella storia
Il terremoto che colpì l’Irpinia e gran parte del Sud Italia nel 1980 rimane una delle catastrofi più drammatiche del dopoguerra. Alle 19:34, una scossa di magnitudo 6.9, equivalente a 15 bombe atomiche, squarciò il silenzio della sera con un boato che si sentì da Bologna fino a Catania.
Le statistiche parlarono di quasi 3.000 morti, 8.848 feriti e più di 300.000 persone senza tetto, mentre interi paesi furono rasi al suolo. A rendere la situazione ancora più grave furono i materiali edilizi fragili e il terreno tufaceo, che amplificarono il danno. In quei giorni arrivarono in Irpinia oltre 20.000 volontari, molti dei quali rischiarono, e talvolta persero, la vita per aiutare i sopravvissuti.
Claudio ricorda la registrazione del suono della scossa, catturata da un’emittente locale, un documento agghiacciante che trasmette l’intensità di quegli attimi e che, ancora oggi, risuona come un monito.
Il ritorno in Irpinia: riscoprire la memoria
A distanza di più di quarant’anni, Claudio ha deciso di tornare in quei luoghi, ha sentito l’esigenza di raccontare il suo viaggio della memoria, un percorso che ha intrapreso con un amico, e che lo ha portato a riscoprire quelle terre e quei ricordi che per lungo tempo aveva mantenuto in un angolo della sua coscienza.
Quelle strade polverose, le macerie ormai sostituite da nuovi paesaggi, e ricordi sopiti per anni sono tornati vivi, nitidi, pronti a essere raccontati. Da questo percorso interiore ed esteriore nasce il suo libro Ritorno in Irpinia: una testimonianza che intreccia memoria e presente, riportando alla luce il dolore, la forza e la resilienza di un popolo e di una terra.
Claudio, ci racconta il momento in cui ha deciso di tornare in Irpinia e rivivere quei luoghi dopo più di quarant’anni?
“Per anni non sono riuscito a tornare in Irpinia, e nemmeno ad occuparmi di quel che accadeva in quella regione. L’esperienza del 1980 l’ho chiusa in un cassetto, non ero pronto a fare i conti con quei ricordi, con quel dolore. Arrivata la pensione, ho sentito che era giunto il momento di misurarmi con quella parte della mia vita. Tornare in Irpinia era necessario per tendere la mano al ragazzo di un tempo.
Mi sono immaginato un anziano e compassato signore di fronte a un giovanotto ingenuo, certo, ma ricco di passione. Con questo viaggio ho potuto anche mettere a confronto l’Irpinia di allora con quella odierna, così bella e allo stesso tempo contraddittoria. Ho anche capito perchè ci ho messo tanto a scrivere questo libro. Credo che il dolore richieda tempo, vada lasciato decantare. Non sempre si è pronti ad affrontarlo. Quando ho visitato il cimitero di Teora, uno dei primi luoghi del mio ritorno, ho avvertito la presenza di tutte le vite spezzate e la profndità di quella ferita.”
Cosa ha significato per te vivere quei mesi a Teora come giovane volontario, alle prese con un dolore così vasto?
“Io scesi a inizio dicembre, dopo i giorni della primissima emergenza. Ho vissuto oltre due mesi a Teora, periodo che definirei un vero e proprio ‘corso universitario’ sulla vita, dove o cresci o scappi. La responsabilità era enorme: aiutare chi aveva perso tutto, cercare di dare un senso di vicinanza a chi viveva il dolore più assoluto.
Ma lì, a volte, il miglior conforto è stato il silenzio. Non esistono parole che possano davvero alleviare un dolore così vasto; ti resta solo la possibilità di stare vicino, di ascoltare, di accettare il peso della tragedia senza fuggire.
Il mio viaggio verso Teora fu un percorso in una terra spettrale. Ovunque si guardava c’era distruzione, i colori erano spenti e il silenzio sembrava assordante. Quando superavo una curva o mi affacciavo sulla cresta di un monte, spesso appariva all’improvviso un paese perduto, una visione che ti prendeva alla gola. E Teora… Teora era ‘scivolata’ a valle.
Le case si erano accartocciate, e il freddo ti penetrava nelle ossa. Ricordo le notti passate in roulotte, e noi eravamo privilegiati perchè gli sfollati dovevano dormire in tenda. Ricordo ogni angolo in cui scavammo, ogni frammento di vita che emergeva tra le macerie. In quei giorni trovai un album fotografico e decisi di restituirlo alla famiglia sopravvissuta. Ci furono lacrime, non parole. Quegli scatti erano un segno che qualcosa aveva resistito alla furia del sisma, anzi la prova che la vita di prima era davvero esistita.”
Nel libro, racconta l’incontro con Lucia, una ragazza di Terra. Può condividere con noi quell’esperienza?
“Lucia era una ragazza bella e forte, ma il terremoto le aveva lasciato una ferita interiore profonda. Ogni scossa di assestamento la faceva tremare, e viveva in un conflitto continuo tra il desiderio di tornare nella sua casa, ancora parzialmente in piedi, per recuperare qualche ricordo, e la prudenza di stare lontana. Un giorno mi chiese di accompagnarla. Io, con l’incoscienza dei miei vent’anni, accettai.
Ricordo quelle scale: erano “aperte”, parte del muro perimetrale era crollato. Salivamo lentamente, passo dopo passo, tra scricchioli sinistri e segnali di cedimento. A metà ella rampa ci sospese una scossa secca, improvvisa e maligna. Lei gridò e scappò giù di corsa. Quando la raggiunsi, la trovai che piangeva, sconvolta. La abbracciai, un abbraccio lungo, eterno, che sembrava voler fermare il tempo e il dolore. Forse altrove sarebbe stato amore. Ma lì, in quella terra sconvolta, era solo un gesto di conforto e solidarietà, un momento di umanità in mezzo alla distruzione.”
Nel suo libro, dedica un capitolo alla neve che cadeva dai tetti. Qual è il significato che ha voluto trasmettere?
Erano scene profondamente drammatiche. La neve cadeva dentro casa, attraverso squarci aperti dal terremoto. Dentro, il freddo era terribile. Ricordo la visita a un casolare dove viveva una coppia che nella scossa aveva perso tutti i figli. Nessuno voleva andarli a trovare, il peso di quel dolore era troppo, non si sapeva cosa dire. Ecco, vivere e poi raccontare quell’episodio è stato uno dei momenti più difficili per me. Perché quando senti che il dolore è troppo grande, non trovi e parole. Nel libro richiamo un passo del Pascoli, che scrive: “Dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia“. Ma quella volta, con quella coppia, riuscii a pronunciare solo poche parole di circostanza. Me ne pento ancora oggi. A pensarci bene, in quel casolare non mi mancarono le parole, mi mancò la poesia.
Nel libro parla anche della storia di Leone Cuozzo…
“Leone Cuozzo non l’ho conosciuto personalmente, il fatto è avvenuto a Caposele e risale a prima del mio arrivo a Teora. Tuttavia, ho deciso di raccontare la sua storia perchè rappresenta alla perfezione quei giorni di dolore e sacrificio. Subito dopo la scossa, Leone si mise a riparare l’acquedotto di Caposele, che era stato fortemente danneggiato dal terremoto.
Lavorò per due giorni senza sosta, e solo dopo averlo rimesso in funzione andò a cercare i suoi figli, che erano andati da parenti a Lioni. Li trovò tutti morti. Quel padre non resse al dolore: tre giorni dopo si tolse la vita con il fucile d’ordinanza, era il custode dell’acquedotto che disseta l’intera Puglia. Oltre ai morti per il sisma, non vanno dimenticati i tanti, troppi che non sono riusciti a sopravvivere al dolore.”
Lei descrive il terremoto non solo come un fenomeno naturale, ma anche come un evento innaturale, in cui vi è la responsabilità dell’uomo…
“Il terremoto è naturale, certo, ma il disastro, quello, spesso è innaturale. Mi riferisco alle scelte sbagliate che si fanno: costruzioni non adeguate, mancanza di strutture antisismiche, una gestione delle risorse inefficiente.
A Teora, il sisma ha portato via case, famiglie e certezze, ma c’è stata anche una seconda perdita, dovuta all’incapacità di prevenire e gestire al meglio. È tragico pensare che solo una parte minima dei fondi promessi sia davvero arrivata in Irpinia. Le responsabilità umane sono parte della tragedia, anche se spesso è scomodo ammetterlo.”
Come si intrecciano memoria e paesaggio nel suo racconto? Cosa resta nel tempo e cosa si trasforma?
“La memoria, come il paesaggio, mantiene certi elementi e ne perde altri. Il tempo permette al dolore di sedimentare, ma certi luoghi restano impressi, indelebili, proprio come certi volti e storie. Ho voluto raccontare non solo ciò che era, ma anche ciò che il tempo ha fatto a quei luoghi, alle persone, a me stesso. Riconoscere quanto sia importante mantenere una certa distanza temporale per poter raccontare significa dare dignità alla memoria.”
In “Ritorno in Irpinia” che ruolo hanno le fotografie?
“La fotografia è fondamentale nel libro, perché offre uno sguardo diretto a quella realtà. Le parole possono descrivere, persino lasciare il segno, ma è l’immagine a imprimersi davvero nella memoria. Quelle immagini parlano da sole: raccontano di mani che scavano, di occhi pieni di lacrime e di dignità, di paesaggi devastai e ricostruiti.
Per me, la fotografia è stata uno strumento essenziale per rendere omaggio a quelle persone e a quei luoghi. Le foto hanno una funzione essenziale perché offrono una sorta di ‘basso continuo’, un sottofondo che accompagna il racconto senza mai sovrastarlo.
Ho ricevuto molte di queste immagini da volontari che, come me, hanno vissuto quei giorni intensi e le hanno conservate per anni. Sono una testimonianza parallela, che sottolinea la realtà dei luoghi e delle persone colpite dalla tragedia. La fotografia è uno strumento potente, capace di fissare momenti che raccontano più di mille parole e rendono il racconto più vivo, autentico.”
Con il suo libro ha deciso di raccontare non solo una storia personale, ma una memoria collettiva. Cosa spera che i lettori possano portare con sé da questo viaggio in Irpinia?
“Credo che ricordare sia un dovere. Spero che i lettori possano capire cosa significa convivere con la perdita. In Irpinia ho imparato che il dolore ci può insegnare tanto e che ogni storia merita di essere raccontata.
È un omaggio a chi ha avuto la forza di sopravvivere e di guardare avanti, e un invito a tutti a non dimenticare. Vorrei che il lettore comprendesse che l’Irpinia non è solo il simbolo del dolore e della distruzione, ma anche una terra fatta di orgoglio e resilienza.Conoscere l’Irpinia significa rispettarla, e spero che questo libro possa far capire a chi non ha vissuto quei giorni cosa significa davvero sopportare e superare un trauma come questo.”
Il racconto di Claudio Calzana è uno scrigno prezioso, dove ogni pagina sembra chiuderci in un mondo isolato, protetto, fatto di parole e di immagini che vogliono prendersi cura di noi. I libri, in fondo, rappresentano un ossimoro perfetto: da un lato, sono un rifugio che ci avvolge, ci ripara e ci fa sentire al sicuro; dall’altro, come il racconto di Claudio sono un’apertura, uno spiraglio che ci invita a guardare oltre e a confrontarci con ciò che è stato.
Un libro nato dalla memoria di un giovane volontario che ci spinge a ricordare e ad imparare. È un ponte verso il passato, un modo per accendere la luce su un dolore condiviso, per non dimenticare e raccontare alle generazioni che non hanno vissuto il peso di quel dolore, la forza di quella ricostruzione.
Claudio non è solo quel giovane ragazzo partito da Bergamo. Ora è un testimone, un custode di memorie. Ritorno in Irpinia ha riportato alla luce i ricordi e il significato profondo del coraggio e della dignità. Un viaggio nella memoria che oggi appartiene a tutti noi.
Immagini:
L’autore, Claudio Calzana
Il Meridiano News: Orologio fermo all’ora della scossa
Teora devastata dal sisma. Foto di Felice Preziosi
Teora: bare all’esterno di un locale pubblico. Foto di Luigi Villani
Laviano: mamma Elda mostra il ritratto della figlia Fulvia. Foto di Tano D’Amico.
Dal Corriere della Sera: “Una coperta per cinque bambini”
La copertina: Pellizza da Volpedo, Ricordo di un dolore (ritratto di Santina Negri, 1889). Accademia Carrara Bergamo.
Per acquistare il libro: https://www.ellelibri.com/prodotto/ritorno-in-irpinia-2022-1980/